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CONDANNA PER INCITAZIONE ALL’ODIO: BASTA UN LIKE Sentenza 4534/2022. Corte di Cassazione L'Avvocato risponde 

CONDANNA PER INCITAZIONE ALL’ODIO: BASTA UN LIKE Sentenza 4534/2022. Corte di Cassazione

Viviamo in un’epoca in cui, lo stretto legame che ci unisce ai social ed alle vicende di internet, diventa parte integrante della nostra vita quotidiana, in cui si intrecciano le realtà della norma con quelle virtuali, spesso assumendo uguale rilevanza.
Ciò porta conseguenze in tutti i settori, soprattutto in quello sociale e penale, creando situazioni spesso al limite della credibilità. Abbiamo commentato in altri articoli, come una semplice partecipazione agli eventi della rete social, possa creare ritorni spiacevoli anche nelle vicende familiari, costituendo una base giuridica per azioni di separazione e divorzio.
Abbiamo visto che può essere sufficiente uno scorretto uso dei social, da parte di dipendenti aziendali, per creare la possibilità, da parte dei datori di lavoro, di attivare azioni disciplinari, fino a procedure di licenziamento.
Anche come un semplice messaggio su WhatsApp, da parte di un coniuge poco fedele che convocava l’amante, possa aver attivato una procedura di addebito, senza possibilità di difesa.
Con la sentenza di oggi la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’importanza penale anche dell’apposizione di un semplice like, sufficiente per configurare il cosiddetto “reato di incitazione all’odio”.
Mettere un mi piace ad un post con finalità razziste, dunque, integra il reato di propaganda di idee basate sull’odio raziale, ex art. 604 bis Codice Penale.
Le interazioni sui social, quindi, assumono un preciso significato comunicativo valicando i confini del mero gradimento, per sfociare nella vera e propria divulgazione di contenuti illeciti.
Nel caso specifico, il ricorrente che aveva subito una condanna per propaganda di idee anti razziali, non ha visto riconosciuta come valida la sua linea difensiva, che tendeva a dimostrare che i like posti sulle pubblicazioni di un sito, non potevano essere considerati indicativi di partecipazione alla vita dello stesso, ne integrare una condotta propagandistica.
La Corte ha rigettato il ricorso, riconoscendo invece un chiaro contenuto negazionista, antisemita ed anti razziale dei messaggi e, in conseguenza, una illegittima posizione del ricorrente, per le chiare manifestazioni di adesione e condivisione dei contenuti.

Per maggiori informazioni è possibile richiedere la consulenza specifica dei legali dello Studio Legale Labonia.

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